La ricerca di un’altra via

Le sette tesi sul controllo operaio di Panzieri e Libertini

La ricerca di un’altra via

Nel febbraio ‘56, “Mondo operaio” pubblica le “Sette tesi sulla questione del controllo operaio” di Raniero Panzieri e Lucio Libertini. Il Partito socialista sta vivendo il passaggio dall’equilibrio instabile tra le correnti interne, stabilito dal congresso di Venezia (1957), alla definitiva affermazione della scelta per il centrosinistra (congresso di Napoli, 1959), il Partito comunista la complessa fase del dopo-Ungheria e i primi passi della via rielaborata all'8° congresso, l’opposizione di partiti storici, il primo tentativo (Azione comunista), presto fallito, di legare scelte e opzioni anche diverse, attorno ad un minimo comun denominatore.

È la stagione del dissenso, soprattutto intellettuale, nel Pci, dell’uscita di Calvino, Muscetta, Cantimori, della sospensione di Geymonat, dell’esplodere dei casi Reale, Onofri, Corbi e soprattutto Giolitti, della nascita e spesso dell'esaurimento di molte riviste, da "Città aperta" a "Corrispondenza socialista", da "Passato e presente" a "Tempi moderni", da "Ragionamenti" ad "Opinione", che, pur tra limiti ed incertezze, pongono temi e problemi, sovente non toccati dalla sinistra ufficiale e spesso anticipatori di tematiche che saranno proprie degli anni ‘60.

Panzieri condirige (il direttore "ufficiale" è Nenni) "Mondo operaio" dal 1957 al 1959, in quella che sarà la stagione più fervida della rivista, e prima di lasciare Roma per Torino segnando un distacco non solo dal partito, ma anche dalla sinistra socialista. L’esperienza di Gianni Bosio, ad essa contemporanea, trasforma la terza pagina dell’edizione milanese dell’"Avanti!", aprendola a collaborazioni e contributi anche eterodossi. Su un terreno diverso, per il forte "terzinternazionalismo di sinistra", ma con analisi spesso coincidenti, si situa l’opera di Danilo Montaldi (1). Lucio Libertini è da poco nel Psi, dopo un percorso tormentato, alla ricerca di una via autonoma fra gli “opposti estremismi” stalinisti e socialdemocratici (significativa la sua esperienza nell’Usi, il piccolo movimento fondato da Magnani e Cucchi).

Secondo Panzieri è possibile arrestare il processo di erosione delle forze popolari soltanto con la più energica ripresa del movimento operaio dal basso e in forma di totale democrazia, soltanto con la più viva tensione per riguadagnare permanentemente i dati della realtà (2). Ai suoi occhi, questa tematica deve diventare centrale nell’azione del Psi, nel senso di una via al socialismo ora, e non come riproposizione di una problematica lontana nel tempo. Non è casuale la sua non assunzione né da parte della maggioranza autonomista, né da parte di Lombardi (che propone una strategia delle riforme come base per ricostruire l’unità della sinistra, anche in alternativa al Pci), né da parte della stessa sinistra del partito che mantiene una logica spesso frontista ed appiattita sul Pci.

Le "sette tesi" nascono quindi in un momento di fecondo dibattito e costituiscono un riferimento importante anche se minoritario. È loro destino alquanto singolare di essere citate e additate come un piccolo classico della cultura politica del socialismo di sinistra e però, al tempo stesso, di non aver dato luogo ad una continuità ideale e politica di referenti che le assumessero come un punto fermo di valore strategico (3).

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