Fuori dal mercato, dentro al futuro. Il recupero delle fabbriche

Fuori dal mercato, dentro al futuro. Il recupero delle fabbriche

Nell’Europa della grande crisi, il latrocinio perpetrato con sadica e chirurgica precisione   dalla grande finanza internazionale, rappresentata dalla BCE e dal FMI, incoraggiati dalla UE, ai danni di milioni di famiglie e di lavoratori, non sembra dare seguito alle aspettative di ripresa. A poco servono le promesse di cambiamento e il susseguirsi forsennato degli uomini al comando delle amministrazioni e dei paesi, che continuano altresì ad abbandonare sui marciapiedi donne e uomini, come naufraghi nell’asfalto; “nuovi poveri”, affranti e spesso soli e alla deriva, in un oceano di disillusione e miseria. È il compimento ultimo della grande opera distruttrice del capitalismo che, al suo stadio più virulento, quello del neo-liberismo di questi anni, ha ottenuto ciò che si era prefisso: l’arricchimento sistematico e continuo delle classi dominanti a danno di tutti gli “altri”.

I signori delle banche, delle società finanziarie, i grandi brokers della Borsa, che oggi occupano con ordinata e metodica pianificazione gli scranni alti e “distanti” dei governi delle “larghe intese”, dell’austerity, del fiscal compact, hanno frugato nelle tasche di almeno due intere generazioni, padri e figli, fino a estirpare l’ultimo centesimo di denaro ma anche di dignità.

All’attacco micidiale, all’ostilità indecente e sviscerata senza pietà da questi signori della guerra globale, occorre oggi più che mai rispondere comprendendo che la sopravvivenza può avvenire solo con un’altrettanta ferma radicalizzazione di un conflitto a cui è stata chiamata, suo malgrado, l’intera classe lavoratrice. E allora ai licenziamenti, ai ricatti, alla prevaricazione in atto c’è oggi più che mai l’esigenza di reagire con forme concrete di sopravvivenza civile e attiva.

Il “recupero” delle fabbriche e dei luoghi di lavoro, l’autogestione dei lavoratori, rappresentano quella ripresa areata di consapevolezza e auto-coscienza da dove finalmente far ripartire il futuro: la nuova storia del mondo, operaio e non solo. Nel decennio scorso, l’ondata di veri e propri attacchi terroristici portata dal grande capitale all’economia dell’Argentina, produsse una delle più gravi crisi sociali della storia. Il debito prodotto e perpetrato dalle promesse di una fittizia e ipocrita economia finanziaria, crearono uno dei più grandi buchi “debitori”, in un solo paese, mai verificatisi prima. Milioni di famiglie furono ferocemente svegliate e, in poche settimane, scaraventate giù dai sogni e dal proprio avvenire, date direttamente in pasto alla indigenza totale. Era accaduto che il serpente tentatore della speculazione monetaria, sostituendosi alla economia “reale”, quella cioè fatta semplicemente di una produzione “concreta”, grazie all’appoggio indiscriminato, consapevole e complice, dei corrotti governi neo-liberali e post-dittatoriali, era riuscito a convincere un’intera nazione ad indebitarsi, con la garanzia di un futuro di grande ricchezza e prosperità. Ci si accorse presto che quelle promesse erano carta straccia di fronte a una realtà atroce che si presentò bussando alle porte di tutte le case. Il resto lo conosciamo e lo abbiamo vissuto: è la storia di una lenta ripresa fatta di lacrime, di decisioni dure ma consapevoli, prese dai governi “popolari” e umani del compianto Presidente Nestor Kirchner e della moglie Cristina. Ma fu anche una storia di “fabbrica”, di occupazioni e autogestioni, di ritorno alla solidarietà di classe. Una epopea “romantica” di opposizione ferma e organizzata e di respingimento di tutte le politiche amorali imposte dalla logica spudorata e speculatrice delle società multinazionali.

Qualche anno più tardi, oggi, nel nostro continente, nelle stesse condizioni, ci sono i presupposti per aprire quegli stessi spiragli di luce e di cambiamento? Forse sì, e quell’esempio, magari non sempre in modo consapevole, viene ripreso e sperimentato in diversi luoghi e con una rinnovata spinta propulsiva. Ognuno con le sue peculiarità, ognuno con alle proprie spalle le storie ordinarie e irrinunciabili di lotta. È la sopravvivenza che cerca di divenire operosa, che sfugge dal controllo della pianificazione priva di scrupoli e, a volte, anche di quelle rappresentanze sindacali “ufficiali”, ormai troppo evidentemente colluse con un sistema di mera conservazione e burocratizzate.

La Grecia rappresenta per il Vecchio Continente una piccola Argentina, divenuta presto cavia e terreno di sperimentazione per la speculazione neo-liberista e globale della “nuova Europa”. “Investite, privatizzate, precarizzate, fate debiti” erano gli slogan, gridati dai banchieri e dai governanti di Atene, alle orecchie degli ignari cittadini. Il mercato lo esigeva; insieme a nuove forme di contrattualizzazione della forza lavoro: quelle tanto propagandate strutture di flessibilità che avrebbero fatto fare il “balzo in avanti” alle economie di ogni singola famiglia, in quel nuovo eldorado finanziario dove le aziende multinazionali accorrevano a piantare le proprie tende. Il risveglio è stato tragico. Una nazione intera distrutta, una bomba atomica lanciata fin dentro le case, nei luoghi di lavoro, nelle università. La Grecia non ha più nulla, fruga nelle pattumiere delle strade cercando pane e calore, vive nei parcheggi, dentro automobili, nelle roulotte. In questa desolazione oggi la speranza è costituita da azioni di rivolta sociale, di tamburi, di piazza. A Salonicco, i lavoratori della Vio.Me., una fabbrica edile, stanno riuscendo nell’impresa di una nuova rinascita. Quella che era destinata a diventare una delle tante fabbriche sedotte e abbandonate dal padrone, in fuga con la copertura del governo, si è ripresa i suoi spazi e suoi tempi, insomma il suo futuro. Gli operai sono passati dall’autogestione alla costituzione di una cooperativa, hanno ristrutturato gli ambienti e, via via, ripreso le attività produttive. Ora la fabbrica è recuperata e il lavoro di nuovo garantito.


Ri-Maflow. Laboratorio computer-test di funzionalità
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In Francia, nella Provenza, a Gemenos, c’è la Fralib. Si tratta di un industria alimentare molto conosciuta e apprezzata dai “consumatori” in quando produce una serie di tisane a base di erbe coltivate nella regione. Qualche anno fa marchio (raffigurante il “celebre” elefantino) e produzione vennero acquisiti dalla Unilever. A seguito della crisi, però, la multinazionale ha pensato bene di ridurre il personale, per poi iniziare le pratiche di dismissione degli impianti, aprendo al contempo una sede in Polonia, dove la manodopera costa meno e ci sono minori garanzie sindacali e sociali. Anche in questo caso i lavoratori non sono rimasti a guardare e, attraverso forme di resistenza e autorganizzazione, sono in lotta per cercare non solo di salvare il lavoro, ma anche lo storico marchio dell’antica fabbrica.


Ri-Maflow. Produzione della ri-passata di pomodoro con prodotti bio a km 0 dei produttori del Parco agricolo sud Milano

A Trezzano sul Naviglio, lo stesso sta succedendo negli stabilimenti della Maflow, una fabbrica che fino ad un anno fa produceva ricambi per automobili. I lavoratori, costituitisi anche in questo caso in cooperativa, hanno occupato i ben 30 mila ettari quadrati di terreno, metà dei quali impiegati da capannoni, e si sono inventati una nuova attività produttiva, una nuova storia, un nuovo assetto. L’hanno chiamato Ri-Maflow. Dietro al prefisso “Ri”, ci sono molti significati: il ri-ciclo, il ri-cominciare, ma anche rivoluzione. Già, perché ci vuole la sfrontatezza e l’incoscienza rivoluzionaria, per programmare da zero una nuova vita produttiva. La Ri-Maflow recupera, aggiusta, rimette “in ciclo” tutti quei materiali e oggetti dismessi e provenienti dalla periferia e vetustà del consumismo: dagli elettrodomestici ai giocattoli. L’importanza di questa scelta non sta solo nella garanzia di veder salvato il proprio stipendio ma, in questo caso, anche nell’incontro tra gli stessi lavoratori e il territorio. Non più dunque la fabbrica distante e chiusa, il mondo sommerso della catena di montaggio regolata dall’ottuso e atono rumore della sirena. Oggi questa fabbrica è utilità, armonia, progettazione, comunità.

Tante storie ci sono ancora da raccontare, migliaia sono oggi in tutto il mondo le aggregazioni di lavoratori che hanno deciso di strappare all’egoismo neo-liberista le sorti di un futuro che sembrava già deciso e di riconquistare le coordinate spazio-temporali della propria esistenza. Il mondo della produzione e del lavoro, dunque, non si arrende e cerca e spera di resistere, rimanere vivo in quella che sarà a breve e per forza di cose una nuova umanità. Recuperare una fabbrica, come iniziò l’Argentina, come sta accadendo sempre più di sovente in Europa, negli Stati Uniti o in Italia, dove queste realtà sono già una trentina, significa porre e ribadire una verità assoluta, la cui eco si è forse smarrita nel tempo. E cioè che il grande capitale per affermarsi non può esistere senza il sacrificio dei lavoratori, questi ultimi, di contro, possono farlo benissimo senza la presenza del padrone.

http://www.altramente.org/le-imprese-recuperate.html

http://www.viome.org

Luca Fazio su Alias, 1 marzo 2014

http://ilmegafonoquotidiano.it/news/ri-maflow-il-lavoro-reddito-e-dignit

http://systemfailureb.altervista.org/ri-maflow-un-anno-fuori-dal-mercato/

Angelo Mastrandrea su Alias, 1 marzo 2014