Imprese senza manager

Quando si parla di fabbriche recuperate il pensiero corre inevitabilmente all’Argentina, con le sue oltre duecento imprese ancora in piedi. Ma anche nel piccolo Uruguay sono trentotto le aziende la cu

Durante il mese di giugno 2010, 450 persone si ritrovavano senza lavoro a causa della chiusura, nella città di Paysandú, dell’impresa tessile Paylana, una delle più importanti dell’Uruguay. Quasi tre anni dopo, la Cooperativa di Lavoratori Paylana (Cotrapay, foto) ha riaperto le porte della fabbrica, in forma auto-gestita.

Cotrapay è solo un esempio dei trentotto casi di imprese recuperate da ex lavoratori dipendenti in Uruguay. Un movimento che, in qualche modo, contribuisce a rivivere l’epoca dell’auto-gestione operaia, concetto quasi in disuso, sepolto negli anni ’90 dal neoliberalismo e dall’applicazione del Consenso di Washington, che prometteva prosperità a tutti i paesi che si fossero affidati alle mani (sapienti) del mercato. La crisi economica cominciata nel sub-continente latinoamericano agli inizi del nuovo millennio ha invece dato impulso all’iniziativa di un numero sempre maggiore di gruppi di lavoratori, colpiti dal meccanismo di esclusione proprio delle regole del mercato capitalista, a riscattare l’importanza della cooperazione e della solidarietà, per poter costruire una modalità collettiva di organizzazione imprenditoriale, dotata di caratteristiche alternative.

Tuttavia, è necessario sottolineare come il fenomeno delle imprese recuperate non sia una novità degli anni 2000, ma costitusica parte integrante della storia del cooperativismo uruguaiano, soprattutto a partire dagli anni ’60, epoca di sorgimento di due cooperative, createsi sulle ceneri del fallimento di altrettante imprese capitaliste: Copay (impresa di trasporti, anch’essa di Paysandú) e il Mulino Caorsi (produtore di pasta, della regione di Tacuarembó), entrambe caratterizzate da oltre cinquant’anni di ininterrotta attività.

Imprenditoria collettiva

Il fattore innovativo risulta, oggi, dal concetto utilizzato per descrivere questo ritorno in auge dell’impresa recuperata. Un concetto che non è esente da discussioni. Che cosa si recupera realmente? Si tratta solamente della fonte d’impiego o c’è qualcosa in più? In un contesto recessivo o (addirittura) critico del mercato del lavoro, come nel caso argentino o uruguaiano agli inizi del 2000, il mero «recupero» della fonte d’impiego ha rappresentato un fattore assai attrattivo, favorito, tra l’altro, dall’incentivo di politiche pubbliche e dalla creazione di figure giuridiche specifiche. Nonstante ciò, affermare che le imprese recuperate abbiano restituito soltanto un lavoro risulta, quanto meno, riduttivo. Da un’analisi più approfondita, emerge, infatti, un effettivo recupero del fattore lavoro e della matrice solidale come categorie organizzative, che aprono nuove opportunità per la creazione di imprese basate sul’intensità di questi due fattori. In questo modo, si recupera il dominio storico che il lavoratore ha mantenuto sul processo produttivo sino alla nascita del sistema di fabbrica e della cosiddetta «organizzazione scientifica del lavoro». Ricordiamo che secondo tale propspettiva il manager è la figura designata per «riunire tutte le conoscenze tradizionali che in passato rappresentavano il patrimonio dei lavoratori» (Taylor).

Questa (nuova) rottura, rappresenta senza dubbio un cambiamento importante per lavoratrici e lavoratori, che devono re-inventarsi come imprenditori e, per tanto, come «decision makers». Si tratta, inoltre, di una trasformazione che presuppone non una conversione qualsiasi, bensì la costruzione di un’imprenditoria collettiva, caratterizzata da un processo decisionale (assolutamente) democratico.

Dal punto di vista operativo, definiamo come impresa recuperata quell’unità economica costituita da lavoratrici lavoratori che provengono da una precedente esperienza occupazionale comune e che gestiscono collettivamente, al meno una parte degli attivi (tangibili o intangibili) dell’impresa in cui ricoprivano il ruolo di dipendenti.

Trentotto imprese recuperate

In quest’ottica, è comprensibile che possano verificarsi casi che, nonostante si avvicinino al concetto appena esposto, non rispecchino pienamente la definizione. Per esempio, la Cooperativa di Lavoratori d’Impresa Popolare Alimentare (Ctepa) è composta da venti operai, ex lavoratori degli stabilimenti Puritas e Las Acacias, licenziati nell’ambito di un conflitto sindacale. Nonostante si possa catalogare come un caso di recupero dell’impiego, attraverso la creazione di una cooperativa, non è possibile parlare di  «impresa recuperata» in senso stretto, visto che le imprese convenzionali continuano ad operare sul mercato e gli (ormai) ex dipendenti non hanno ereditato nessuna marchio, struttura o macchinario dall’ex datore di lavoro. Questo, come altri casi, rientrano nel limbo della definizione.

 


Il Presidente Mujica con lavoratici e lavoratori di Cotrapay (Paysandú).

Delle trentotto imprese recuperate rilevate attualmente in Uruguay, trentacinque operano in forma cooperativa e tre in qualità di società anonima (anche se il pacchetto azionario è in possesso di un’associazione). La lista include una cooperativa che produce pneumatici, un Collegio, passando per una fabbrica di vetro fino ad un’impresa di pulizie.

A partire dallo scorso anno, queste imprese auto-gestite possono contare su un nuovo strumento di politica pubblica. Si tratta del Fondes, fondo che utilizza il 30 per cento degli utili della più grande banca pubblica del paese (il Banco Repubblica) per finanziare iniziative economiche auto-gestite. Cotrapay è uno dei sette casi finanziati fino ad oggi, per un un totale di poco superiore ai 26 milioni di dollari. Probabilmente, il prossimo finanziamento sarà diretto agli ex dipendenti di Pluna, la compagnia aerea di bandiera. Se questa ipotesi fosse confermata, si tratterebbe del primo caso al mondo di linea aerea auto-gestita da ex lavoratori dipendenti.

Senza dubbio, l’impronta personale del presidente José «Pepe» Mujica ha costituito un fattore di fondamentale importanza per la creazione del Fondes. Infatti, già prima di assumere la carica di presidente, aveva riconosciuto, in più di un’occasione, l’importanza dell’auto-gestione come via alternativa (di sviluppo). Consultato da alcuni organi di stampa su come gli piacerebbe essere ricordato tra cento anni, ha poi risposto: «Vorrei che i lavoratori, o almeno un gruppo grande di loro, imparassero ad auto-gestirsi. E che questo restasse come un modello sempre più diffuso e funzionante. È la cosa più importante a cui posso aspirare». Si tratta di vedere se, oltre allo stile e a il pensiero di un presidente, le politiche di incentivo sapranno consolidarsi nel tempo. Senza dubbio, buona parte di questo futuro dipenderà dai risultati ottenuti da queste prime esperienze.

Pablo Guerra è docente e ricercatore presso l’Università della Repubblica di Montevideo, Uruguay.