La sfida dell'autogestione per salvare il lavoro

La sfida dell'autogestione per salvare il lavoro

L'autogestione operaia è un sogno un po' pazzo nel campo dell'industria, che si credeva sostanzialmente legato al produttivismo. Sull'onda della crisi, la vecchia idea, abbandonata dal movimento operaio nel corso del XX secolo, riviene piano piano alla luce. Ha preso forma a 25 chilometri da Marsiglia, nell'enorme fabbrica della Francaise d'alimentation et de boisson (Fralib). I dipendenti di questa fabbrica di infusi, la cui attività è stata delocalizzata nel 2010 in Polonia dal proprietario Unilever, sono sul punto di riprendere la produzione per proprio conto.

Con il sottofondo leggero delle macchine lasciate in stand-by, i “Fralib” hanno accolto lo scorso week-end lavoratori d'Europa e d'America latina, precursori, anche loro in forme differenti, di una riappropriazione del lavoro.

Le cooperative diventano un'alternativa

In Italia, Spagna o Grecia, dove la disoccupazione è alle stelle, il modello cooperativo diventa un'alternativa alla crisi. In Francia “abbiamo constatato una svolta nelle lotte dei lavoratori nel 2010, con la lotta dei dipendenti di Sea France e Fralib. Non erano, infatti, soltanto concentrati sulla conquista dell'indennità di licenziamento ma puntavano a mantenere il lavoro sotto forma di cooperative” osserva Benoît Borrits, dell’associazioneAutogestion, che ha organizzato il primo forum “L'economia dei lavoratori”.

All'inizio, c'è una lotta. I dipendenti di Fralib hanno sottratto i locali e le macchine al gigante Unilever, che alla fine le ha cedute per 1 euro alla comunità urbana di Marsiglia.

Dopo c'è un progetto. Per riprendere un'attività industriale con un management orizzontale e svincolarsi dalla rete di distribuzione e di approvvigionamento tradizionale, le fabbriche autogestite sono obbligate e inventarsi nuovi mercati. Filiera corta e sviluppo durevole diventano così il loro possibile baricentro.

“Tutto ciò obbliga a inventarsi ogni giorno il cambiamento” sostiene Luca Federici che partecipa al progetto Rimaflow, insediato nei 30.000 mq della vecchia fabbrica di componentistica per automobili, occupata da febbraio 2013 a Milano. Senza macchine, una parte dei 350 lavoratori licenziati è dovuta partire da zero per creare un'attività. Hanno cominciato mettendo in piedi delle piccole attività nella speranza di economizzare abbastanza per rimettere a posto i locali e rilanciare una produzione industriale. Un “mercato delle pulci”, il riciclaggio di apparecchi elettronici, una piccola produzione di...Limoncello. Aspettando un domani migliore si pagano circa 300 euro al mese.

“Un nuovo movimento politico e sociale sta per nascere”

Per riuscire, la maggioranza delle cooperative ha due sfide principali da affrontare. L'esempio italiano di Officine Zero, nata sulle ceneri della Compagnia dei vagoni letto a Roma, mostra l'importanza di reti di solidarietà per ricreare il mercato perduto con il blocco dell'attività. La cooperativa poggia sulla rete sociale del quartiere per allestire uno spazio di “coworking”, con una mensa e uno studio di assistenza giuridica. Senza aiuti da parte delle istituzioni locali.

“In un sistema capitalista, le cooperative non possono funzionare se non con una presa di coscienza dei consumatori-cittadini” osserva Rachid Ait-Ouakli, operaio dell'ex fabbrica di gelati Pilpa, a Carcassonne. Dopo un anno di lotta e due piani sociali, portati in tribunale, la fabbrica potrebbe ripartire in cooperativa con un progetto rispettoso dell'ambiente, la Fabbrica del Sud. Hanno ottenuto un contributo di 815.000 euro per il progetto di cooperativa.

Ed ecco il secondo aspetto cruciale: i finanziamenti. “Molti lavori necessitano di almeno 100 mila euro di investimenti per essere salvati”, nota Michel Famy, direttore dell'unione regionale di Scops Paca. Gli strumenti della finanza solidale devono dunque consolidarsi con l'aiuto delle istituzioni pubbliche.

Molti paesi dell'America latina hanno mostrato l'esempio, come il Venezuela: ci sono infatti leggi che permettono l'esproprio di strumenti di produzione sotto-utilizzati e i capitali pubblici sono mobilitati per lanciare o ri-lanciare delle attività in cooperativa. Il cui numero è passato da 800 all'inizio degli anni 2000 fino ai 70.000 di oggi.

“In Brasile e in America latina, il movimento cooperativo prende slancio, compreso nell'ambito operaio, perché è un mezzo di sopravvivenza per gente che altrimenti viene esclusa dall'economia di mercato”, aggiunge Carlos Schmidt, ricercatore all'universita di Rio Grande do Sul, nel sud del Brasile.

In Europa, i militanti del “controllo operaio” vogliono credere anch'essi a un vento nuovo. “Le iniziative fioriscono, portate avanti da movimenti politici molto diversi e malgrado il disinteresse di partiti e sindacati per la questione dell'autonomia operaia” assicura il responsabile del sito di informazione dedicato all'autogestione workercontrol.net (di cui nascerà a breve la versione italiana, ndt) alla tribuna del forum “l'Economia dei lavoratori”. “Crediamo che alla luce di quanto sta accadendo in America Latina, dove il movimento si è stabilizzato” ritiene Benoît Borrits. Un nuovo movimento politico e sociale “sta per nascere”.

traduzione a cura di CommuniaNet