Lavorare meno – ma lavorare!

Recuperare e riconvertire: i workers buyout sbarcano in Italia

Lavorare meno – ma lavorare!
L’esperienza delle cosiddette fabbriche recuperate è un esempio di quell’economia “civile” o “solidale” di cui oggi c’è bisogno più che mai. E’ un’economia fatta di cooperazione, di attenzione alle comunità, di ridimensionamento e qualche volta anche riconversione della produzione industriale in chiave ecologica.

Agli sguardi attenti, le notizie economiche degli ultimi giorni hanno mostrato con una chiarezza impietosa la duplice realtà in cui siamo immersi. Due sono i dati emblematici:  a Piazza Affari hanno festeggiato i valori dell’indice Ftse Mib che ha superato i 20.000 punti tornando ai livelli “pre-crisi” (Luglio 2011). Contemporaneamente l’Istat ha certificato che nello stesso periodo sono andati perduti 1,2 milioni di posti di lavoro.
Qual’è allora lo stato “reale” dell’economia?

Secondo l’osservatorio Cerved sulle crisi d’impresa, nel 2012 oltre 12.000 aziende nel nostro paese hanno dichiarato fallimento e nell’anno appena trascorso il trend è andato in crescendo, con una media di circa 40 imprese ogni giorno che hanno chiuso i battenti. Nel rapporto di Novembre 2013 ci dicono che “tutte le procedure di chiusura monitorate sono ai massimi da oltre un decennio”, e i dati sono equivalenti in tutte le zone del paese.

Le aziende assistono ai crolli del fatturato, ed essendo cronicamente soffocate da un carico fiscale e burocratico enorme, ovviamente sono sempre meno in grado di reggere il colpo. Così aumentano le richieste di cassa integrazione, le liquidazioni, i concordati e le procedure di fallimento.

Questi dati sono solo conferma del fatto che siamo in una profonda crisi di sistema, inscindibile conseguenza della società dei consumi, della crescita infinita e delle politiche neo-liberiste, del mercato deregolamentato che permette, ad esempio, didelocalizzare le produzioni dove più conviene o dove ci sono meno tutele sindacali.

Un caso è quello della ditta Maflow di Trezzano sul Naviglio (Milano), azienda parte di un gruppo internazionale, che produceva componenti per gli impianti di condizionamento dei grandi marchi automobilistici. Impiegava 320 persone ma a partire dal 2008, per via di una gestione “predatoria” è arrivata dapprima all’insolvenza, poi alla vendita e infine alla chiusura definitiva e alla cassa integrazione.

Alcuni ex-lavoratori dell’azienda però non si sono dati per vinti e hanno deciso di occupare la fabbrica chiedendo di poter utilizzare gli spazi e l’attrezzatura, come hanno fatto nelle “empresasa recuperadas” argentine, tra l’altro in tante ancora attive a distanza di oltre 10 anni. A Marzo del 2013, dopo un percorso accidentato, si è costituita la cooperativa “Ri-maflow” che ha avviato un’attività di recupero e riciclo dei rifiuti, in particolare elettronici. Ci lavorano attualmente 17 persone.

Un altro tipo di recupero, sostanzialmente differente, è quello dei cosiddetti WBO (Workers buyout è l’espressione usata negli Stati Uniti dove questa pratica si è diffusa). Antesignana in questo tipo di appropriazione di una fabbrica da parte dei lavoratori è stata l’azienda IPT di Scarperia, in Provincia di Firenze: nei primi anni novanta l’azienda, che produceva sacchetti e pellicole per il pane, dichiarava chiusura lasciando a casa 240 dipendenti. 78 di loro decisero di unirsi per acquistare l’azienda e fare ripartire l’attività. Negli anni seguenti il processo produttivo è stato completamente rinnovato nell’ottica della sostenibilità ambientale, tanto che oggi la IPT è all’avanguardia nella produzione di sacchetti biodegradabili.

Legacoop (associazione nazionale delle cooperative) ha creato un fondo mutualistico per le aziende in crisi denominatoCoopfond, che offre un servizio di accompagnamento a chi decide di investire i propri ammortizzatori sociali per la creazione di una nuova impresa. In questo caso il tutoraggio consiste nell’analisi della situazione e dei passi da fare perché dalla vecchia azienda possa nascere una nuova attività in grado, con il tempo, di camminare con le proprie gambe. Tutto questo è possibile anche grazie alla normativa nazionale: la Legge “Marcora” n. 49 del 1985 ha istituito il Fondo per la promozione e lo sviluppo della cooperazione; e soprattutto la Legge 223 del 1991 che permette di richiedere all’INPS l’erogazione della mobilità spettante se destinata a diventare capitale per associarsi in cooperativa.

Dal 2008 al 2013 i WBO seguiti da Coopfond sono stati 29, e hanno “salvato” circa 600 posti di lavoro. E’ evidente che si tratta di una goccia nel mare, ma ci ricorda che esiste un altro modo per rispondere alla crisi, che parte dal basso e non mira al massimo profitto bensì a creare un’economia “sana”.

L’economia della crescita e delle risorse da sfruttare a basso costo è arrivata al capolinea; è indispensabile attuare una transizione, per quanto difficoltosa possa essere, verso una società capace di soddisfare i bisogni di tutti, senza distruggere né il pianeta, né le comunità.

 

Contatti utili:

Legacoop, tel. 06/844391, www.legacoop.it

Coopfond, tel. 051/5282811, www.coopfond.it

Cooperazione Finanza Impresa, tel. 06/4440284, www.cfi.it

 

Bibliografia e sitografia:

Aa. Vv., Sin Patron, Carta e Gesco (2007).

Elvira Corona, Lavorare senza padroni, Emi (2012).

Gianluca Carmosino, dossier Fabbriche recuperate su www.comune-info.net

Da vedere:

Aa. Vv., Fa.Sin.Pat. La Fabbrica senza Padroni, SMK Videofactory (2011 ).

A. Lewis, N. Klein, The Take – La Presa, distribuzione Fandango (2005).