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Italian20/10/14
La rivendicazione del controllo dei lavoratori è al centro della "via democratica e pacifica" al socialismo. Le seguenti tesi vogliono fornire una prima, provvisoria indicazione per un ampio dibattito che raccolga non soltanto i contributi di politici e specialisti ma anche e soprattutto le esperienze del movimento operaio, che sono la sola verifica conclusiva della elaborazione del pensiero socialista.
1) Sulla questione del passaggio dal capitalismo al socialismo
Nel movimento operaio è stata a lungo e in periodi successivi discussa la questione dei modi e dei tempi del passaggio al socialismo. Una tendenza, che si è presentata sotto varie forme, ha creduto di potere schematizzare i tempi di questo processo, come se la costruzione socialista dovesse essere preceduta, ssempre e in ogni caso, dalla «fase» di costruzione della democrazia borghese.
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Mondo Operaio, febbraio 1958, n. 2
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Italian20/10/14Una cooperativa spagnola con filiali europee
Il 6 novembre 2013, la fabbrica di elettrodomestici FagorBrandt dichiarava fallimento aprendo un periodo d’incertezza per i suoi 2000 salariati francesi. Questa impresa ha una particolarità: è la fililiale di Fagor Elettrodomestici, una cooperativa di lavoratori che si trova dall’altra parte dei Pirenei. La stessa sede centrale aveva dovuto aprire una procedura di interruzione dei pagamenti il 16 ottobre precedente. Questa cooperativa fa parte del gruppo cooperativo di Mondragón, un gruppo fondato negli anni 1950 nei paesi baschi. Attualmente primo gruppo industriale e finanziario del Paese basco e quinto dello Stato spagnolo, riunisce 110 cooperative e 80.000 lavoratori. Presentata finora come un esempio di eccezionale successo, questa cessazione dei pagamenti da parte di Fagor Elettrodomestici, la cooperativa più antica del gruppo, significa la fine del «mito» di Mondragón [Kasmir, 1996]?
Mondragón, un gruppo unico al mondo
Ispirati da Don José Maria Arizmendiarrieta, un prete repubblicano che era sfuggito per poco al plotone di esecuzione durante la guerra civile, cinque giovani della città di Mondragón-Arrasate decidono nel 1956 di fondare un’azienda che si occupa di riscaldamento domestico, la Ulgor. Questa azienda è organizzata come una cooperativa operaia: essa è gestita esclusivamente dai lavoratori con una direzione (Consiglio direttivo) nominato e revocabile da parte dell’Assemblea generale. Dal 1958 in poi altre cooperative vengono create ex nihilo nel solco di questa prima esperienza (Arrasate, Copreci, etc.) o per gemmazione da attività di cooperative già esistenti (Ederlan, ad esempio).Dal momento che per lo sviluppo di queste cooperative sarebbero stati necessari dei mezzi finanziari ben più consistenti dei fondi iniziali, è stata creata una banca, la Caja Laboral, cooperativa di secondo livello che raccoglierà il risparmio locale. Il rapporto tra Caja Laboral e cooperativa finanziata è basato su un equilibrio tra l’indipendenza della banca nei confronti di ciascun progetto e il controllo dell’attività di quest’ultima da parte delle cooperative associate.
Ogni cooperativa che stabilisce una relazione con la banca accetta di conformarsi alla struttura giuridica delle prime cooperative e di adottare una griglia di redditi in rapporto a quella delle altre cooperative. Esclusi dal regime generale della sicurezza sociale spagnola, i soci membri creano nel 1967 LagunAro, una mutua che, garantisce ai membri delle cooperative affiliate un’assicurazione contro la disoccupazione, la malattia, l’inabilità al lavoro così come una pensione con la creazione di fondi appositi A questo insieme di cooperative di lavoro si aggiungeranno altre cooperative, di formazione (Alecop), di ricerca (Ikerlan), di consumo (Eroski) o agricole (Lana). Alcune sono cooperative di secondo livello, ma tutte possiedono un comitato di
gestione che permette di rappresentare i lavoratori di queste particolari cooperative.Nel 1965, per mettere in comune i profitti, si costituisce un primo gruppo cooperativo: Ularco. Questo tipo di organizzazione ha permesso a queste cooperative di superare la crisi dell’inizio degli anni 1980: le perdite di alcune entità sono state compensate dal guadagno di altre, dato che i soci delle cooperative delle realtà che dovevano ridurre il loro personale si sono visti proporre dei posti di lavoro all’interno di quelle in crescita. Con questa strutturazione, è stata così creata una vera Assicurazione sociale professionale [Boccara, 2002] [Guigou, 2005] in grado di garantire un impiego a vita ai suoi consociati. Nel 1987, dieci gruppi cooperativi erano già costituiti su questo modello e un congresso costituente organizzava la loro fusione in un unico gruppo che si sarebbe chiamato Mondragón, dal nome della città in cui aveva avuto origine questa esperienzau [Whyte & Whyte, 1991].
Questa organizzazione in gruppo risulta originale se confrontata alle strutture dei gruppi capitalisti. In questi ultimi, gli azionisti sono proprietari della struttura principale -holding – che possiede un insieme di filiali. A Mondragón, le cooperative sono le costituenti del gruppo e restano sovrane: una cooperativa esistente può tranquillamente chiedere di entrare nel gruppo e, viceversa, ogni cooperativa può decidere di lasciarlo. Lungi dall’essere un handicap, questa doppia strutturazione in cooperative di lavoratori e in gruppo federativo può permettere a questo
raggruppamento di sperimentare uno sviluppo folgorante. Nel 1989, i suoi effettivi erano 22.000. Nel 2009, arriveranno alla cifra di 85.000.
Una internazionalizzazione a marce forzate
L’entrata della Spagna nel mercato comune europeo ha significato l’abbandono progressivo delle barriere doganali e la messa in concorrenza generalizzata di tutte le cooperative. E’ così che la cooperativa Ulgor, divenuta in seguito Fagor Elettrodomestici, specializzata nel settore, dovrà far fronte all’arrivo di concorrenti del calibro della svizzera Electrolux o l’americana Whirlpool. Lo choc è brutale per questa cooperativa che dovrà nello stesso tempo ridurre i costi di produzione e fare un salto di qualità.Nel 2005, Fagor Elettrodomestici acquista Brandt in Francia. Un cambiamento di dimensioni immediato con 2.000 salariati supplementari e l’apporto di un portafoglio di marchi prestigiosi: Brandt, De Dietrich, Vedette, Océan, San Giorgio. In modo abbastanza curioso, Fagor Elettrodomestici non ha mai proposto ai salariati francesi di unificare il gruppo dei soci dell’impresa. Brandt, ribattezzata FagorBrandt, è rimasta una filiale di Fagor Elettrodomestici. C’è di peggio, questa acquisizione si è costruita su una ristrutturazione e attraverso decine di licenziamenti, come sarebbe accaduto in qualsiasi gruppo capitalistico [Argouse & Peyret, 2007].
Questa strutturazione in filiali è stata generalizzata negli ultimi anni all’insieme delle cooperative del gruppo. Mondragón federa ormai 110 cooperative e queste ultime controllano 147 filiali [Mondragón, 2013]. A un certo punto, meno di un lavoratore su due era socio. Il gruppo ha raddrizzato la barra in extremis facendo aderire in modo massiccio i salariati a Eroski, la cooperativa di grande distribuzione del gruppo, e il tasso di adesione sarebbe ormai migliorato.
Tuttavia l’assoggettamento salariale diventa moneta corrente in questo gruppo di cooperative di lavoratori.
Il divorzio Fagor Mondragón
La strategia di crescita esterna di di Fagor Elettrodomestici mostra oggi i suoi limiti. Questa impresa ha il doppio handicap di operare nel settore elettrodomestico e di avere la propria base in Spagna, due mercati particolarmente in crisi. Il suo grande concorrente, la svizzera Electrolux, ha conosciuto una brutale caduta del suo fatturato e progetta di sopprimere 2.000 posti di lavoro e di chiudere la sua fabbrica italiana nata dal rilevamento della Zanussi nel 1984. Se Fagor Elettrodomestici si è ampiamente internazionalizzata in questi ultimi anni, non resta perciò meno
fortemente legata al suo mercato di provenienza, dato che il 30% delle sue vendite è realizzato in Spagna, paese in piena recessione.La società impiega circa 5.600 persone, filiali comprese, per solo 2000 soci. Essa conta tredici fabbriche in cinque paesi: Spagna, Francia, Polonia, Marocco e Cina. Nel maggio 2012 i soci avevano deciso di ridurre i loro profitti del 7,5% e accettato il criterio della mobilità. Questo non è bastato. Nel primo semestre 2013 il gruppo ha subito una perdita di 60 milioni di euro, tre volte maggiore di quella del primo semestre 2012, e il suo fatturato ha subito un ribasso del 19% con 491 milioni di perdita.
La situazione è diventata catastrofica. Il suo indebitamento è superiore a 830 milioni, ossia 145.000 euro per ogni lavoratore e 415.000 euro per ogni socio. Dopo qualche mese, i fornitori erano reticenti a fare consegne all’impresa e alle sue filiali, il che arrestava frequentemente la produzione. In Francia quattro sedi di Fagor Brandt –due in Vandea, una a Orléans e l’altra a Vendôme– sono tutte inattive dopo il 14 ottobre, per l’impossibilità di pagare i fornitori. E’ in questo contesto che l’impresa ha imboccato la strada di una procedura tipicamente spagnola di negoziazione per ristrutturare il suo debito.
Niente funziona più tra Mondragon e la cooperativa. Il 30 ottobre, la direzione del gruppo ha troncato i rapporti. Mondragón stima che le risorse che l’impresa chiede «non basterebbero a garantire la sua viabilità». Ci stiamo incamminando chiaramente verso un’uscita di Fagor Elettrodomestici dal gruppo Mondragón. Il valore simbolico di tutto ciò è molto forte: Fagor Elettrodomestici era nello stesso tempo la più antica cooperativa del gruppo ma anche la sua più grossa struttura industriale.
Al di là della situazione contingente
Il fallimento di Fagor Elettrodomestici è il risultato di una concomitanza di fattori sfavorevoli. La strutturazione in gruppo era stata pensata per facilitare l’evoluzione da un settore economico all’altro. Mondragón si è dimostrata particolarmente innovativa nell’organizzare le sue cooperative di secondo livello assicurando il finanziamento, la sicurezza sociale, la formazione e l’innovazione. Paradossalmente, sul terreno dell’internazionalizzazione, il gruppo ha mostrato un grande classicismo, non facendo altro che riprodurre ciò che le imprese capitaliste facevano in materia. Diverse spiegazioni sono già state avanzate –nazionalismo basco, difficoltà di implementare le cooperative europee- spiegazioni che restano comunque discutibili. Ma il fattore
senza dubbio essenziale è il limite della stessa forma cooperativa, una via di mezzo tra la proprietà privata e una appropriazione sociale pienamente realizzata.Per raggiungere una entità come quella di Mondragón in qualità di socio, occorre oggi un contributo di circa 14.000 euro di capitale. Se non c’è la disponibilità di questa somma, la banca del gruppo, la Caja laboral, fa un prestito che sarà rimborsato con prelievi sulle remunerazioni. Al di là delle parti sociali, le entità del gruppo hanno accumulato riserve che, in regime cooperativo, sono indivisibili: questo significa che esse non appartengono a nessuno in particolare ma sono a disposizione della collettività dei soci. Le somme a disposizione attualmente sono considerevoli.
Le parti sociali rappresentanola 2,05 milliardi di euro e le riserve 1,9 milliardi. Evidentemente i lavoratori associati del gruppo Mondragón sono divenuti, nel difendere la loro sopravvivenza, dei «piccoli capitalisti» che faranno di tutto per difendere il loro capitale. Per resistere alla concorrenza straniera, essi rilevano delle imprese per realizzare delle economie di scala e posizionarsi sui mercati, donde la decisione di procedere a licenziamenti a partire dall’acquisizione di Brandt in Francia.
Individuiamo qui un limite della cooperativa, un ente certo gestito collettivamente ma che resta di natura privata. Le parti sociali sono private e, nel caso spagnolo, si rivalorizzano. Le riserve indivisibili sono collettive ma costituiscono una proprietà privata per le persone esterne alla cooperativa. Questo appartiene alla natura stessa della cooperativa per cui solo un’impresa finanziata interamente da un settore bancario socializzato potrebbe evitare questo scoglio. Se resta del cammino da percorrere in questa direzione, il fatto che il recupero di fabbriche in forma
cooperativa da parte dei lavoratori avvenga col minimo impegno di fondi propri è molto incoraggiante. Nel caso di Fagor Elettrodomestici, questo avrebbe significato un associazionismo senz’altro più ampio, un’estensione del gruppo Mondragón al di là delle frontiere della Spagna e quindi una capacità di resilienza del gruppo più forte di fronte alla doppia recessione del mercato degli elettrodomestici e del paese. In poche parole, Fagor Elettrodomestici non ha sofferto a causa della cooperazione ma a causa della mancanza di vera cooperazione.
L’esperienza di Mondragón resta un motivo di speranza poiché essa dimostra che non c’è assolutamente nessuna ragione razionale per affermare che le imprese capitalistiche risulterebbero più efficaci rispetto alle imprese dirette dai lavoratori stessi. La sicurezza dell’impiego così come la riduzione del ventaglio salariale non sono mai stati un freno all’espansione di un gruppo che ha quasi raddoppiato i suoi dipendenti ogni cinque anni nel corso di venti anni.
Ciò che è stato realizzato – democrazia del lavoro, coordinazione, sicurezza sociale e
professionale –su scala tutto sommato modesta– 80.000 lavoratori – potrebbe essere fatto anche a livello di un paese o di una regione. E’ probabile che su una scala del genere, i desiderata degli utenti potrebbero esprimersi cortocircuitando la curva del mercato, realizzando così la riconciliazione tra la cooperativa di lavoro e la cooperativa di consumo, così come era stato inteso da Charles Gide a suo tempo [Pénin, 1998]. Nessun dubbio che una tale evoluzione centrata sui bisogni e non sulla rendita del capitale è di natura tale da trasformare profondamente la natura stessa della produzione.Bibliografia
Argouse Anne & Peyret Hugues, Les Fagor et les Brandt, DVD, Antoine Martin Productions, Paris, 2007
Boccara Paul, Une sécurité d’emploi et de formation, Le Temps des cerises, 2002
Guigou Élisabeth, Crise de l’emploi, malaise au travail, Pour une sécurité des parcours
professionnels, Les Notes de la Fondation JeanJaurès, Paris, 2005
Kasmir Sharryn, The Myth of Mondragon : Cooperatives, Politics, and Working‐Class Life in a Basque Town, State University of New York Press, 1996
Mondragón, Annual Report 2012, Mondragón Corporation, 2013
Penin Marc, Charles Gide 18471932, l’esprit critique, Éditions L’Harmattan, 1998
Whyte William Foote & Whyte Kathleen King, Making Mondragon, The Growth and Dynamics of The Worker Cooperative Complex, Cornell University Press, 1991Originale francese pubblicato su
Multitudes : revue politique, artistique et philosophique, n. 55 (printemps 2014) [1777-5841], MondragónΑρχές του 20ού αιώνα – Εργατικά Συμβούλια και Εργατικός Έλεγχος κατά τη διάρκεια Επαναστάσεων, Benoît Borrits, Συνεταιριστικό Κίνημα, Γαλλία, Ισπανία, ΕυρώπηTopicΝαιΝαιNoΌχι -
Spanish19/10/14
Dos locales de la popular cadena de comida rápida porteña fueron tomados por sus trabajadoras y trabajadores en defensa de sus puestos de trabajo. Sueldos atrasados, vaciamiento de locales y maltrato patronal fueron los empujones que posibilitaron que hoy estén a punto de conformar cooperativas.
Cómo conspirar
Mostrador, sillas altas, y caricaturas de Soda Stereo, Indio Solari, Virus, La Renga, Charly García, Diego Capusotto, el Che Guevara, Evita y Arturo Jauretche custodian las palabras de Laura Rúfolo, 26 años, con un embarazo de 5 meses (va a ser un varón) y una energía que contagia, que dice a LAVACA: “Vamos a aprender entre todos lo que es ganarse el plato de comida”. Comenzó a trabajar hace siete meses en la cadena Nac&Pop, pero desde hace tres que no le pagan. “Cuando conté y certifiqué que estaba embarazada fue justo cuando me dejaron de pagar”.
Laura cuenta que, entre diciembre y enero, cambió la razón social de la firma. De Pop & Nac, dirigida por el empresario uruguayo Alex Gordon, y la cadena pasó a manos de Samin S.A.
Jairo Rengifo Arana aclara que a él no lo echaron. Sí le debían tres meses, aguinaldo, aportes patronales. Es peruano, tiene 24 años, y dice que la razón por la que desde el lunes 22 de septiembre está las 24 horas en el local de Congreso haciendo choripanes, hamburguesas, panchos, bondiolas, cobrando, dando vuelto, sacando cuentas para pagar el gas, la luz, el alquiler, soportando amenazas, – le dijeron que le iban a pegar un tiro-y durmiendo junto a otros 9 trabajadores y trabajadoras en el fondo del comercio, es una sola: “ no me gustan las injusticias”.
Según afirma Jairo, la economía de los locales ondulaba, pero era una cuestión que los ya les habían advertido: “En la entrevista laboral, te decían: ´Mirá, tenemos atraso en los pagos, quizá te pagamos con un mes de atraso; el sueldo es de 5 mil, pero puedes ganar un poco más, un poco menos. Mientras aprendas más rápido, mejor´”, rememora.
Laura subraya que presentían que las cosas no venían bien. Los rumores comenzaron a correr y organizaron una reunión para organizarse e intercambiar información. Jairo sintetiza: “En la primera éramos 3, en la segunda éramos 2, a la cuarta éramos 10, a la quinta éramos 1 de nuevo, hasta que llegamos acá, estuvimos las personas correctas en el día correcto, fuimos, marchamos, nos reunimos. Nos sacamos esa bronca. Era lo único que podíamos hacer. Solamente queríamos salvar el lugar de trabajo. Después, tomamos la decisión”.
El desafío
En los días previos a la toma hicieron una movilización para escrachar a la responsable de recursos humanos de la firma. Ahí se comenzó a gestar la toma. “Necesitábamos ponernos a laburar, necesitábamos comer. Necesitábamos resolver el tema de nuestra dignidad como empleado y como persona”, explica Laura. Dice Jairo: “Es que era un desafío: sabíamos que íbamos a tener que dormir acá, dejar algunas cosas. Yo en particular dejé la Universidad. Estudio para traductor de idiomas en una sede de la UBA . Tuve que dejar porque justo tenía clases los días en los que estábamos aguantando acá. Y si tenés cuatro faltas, te sacan del curso”.
El lunes 22 de septiembre a las 7 de la mañana llegaron al local de Congreso, ubicado en la estratégica zona de Avenida Rivadavia y Callao. Algunos no trabajaban allí sino en otras sucursales, otros era parte del personal de rotación que cubre francos y feriados. “Cuando llegamos les pedimos permiso a los compañeros y les preguntamos si se querían quedar o no”, dice Laura, que trabajaba en la sucursal de Palermo. Algunos optaron por irse a otros locales, otros apoyan, pero no de forma abierta. Hoy son 10 personas las que están autogestionando esa sucursal. . La sucursal de Pellegrini y Perón está en el mismo estado de asamblea permanente.
Laura aclara: “Estamos recibiendo al que quiera venir con ansias de trabajar y de luchar: es bienvenido. Y también estamos tratando de ayudar a otros compañeros para que se vaya haciendo lo mismo en otras sucursales”. La razón : no cobran sus sueldos desde hace meses y no tienen ninguna noticia sobre los dueños de Nac&Pop.
Abandonados
Alfredo Lezana Santillán es de Santiago del Estero, tiene 24 años y es el marido de Laura Rúfolo. Llegó a Buenos Aires hace seis años. Es maestro nacional de danza folklórica y se conoció con su compañera en una clase. Durante un tiempo se ganaron la vida haciendo un duo: él tocaba la guitarra y ella vendía comida en el tren San Martín, que une Retiro y Pilar. Entraron juntos a trabajar en Nac&Pop. Hoy viven en Caseros, localidad de Tres de Febrero, municipio del oeste del conurbano bonaerense. “Con mucha bronca vivimos todo lo que pasó, porque uno se aguantó montones de cosas y de golpe no dan la cara, no responden ante nada, desaparecen y no te dan respuesta. Nos abandonaron, prácticamente. Tampoco nos cabe mucho estar acá las 24 horas, pelear por conseguir proveedores, que te quieran cortar la luz, clausurar, pero tenemos que hacerlo porque hoy en día es la fuente de trabajo que tenemos para subsistir, más allá de que ahora no estemos ganando un peso porque arrancamos de cero. Con lo que ganamos por día estamos comprando el pan, las gaseosas, los productos para cocinar. Hoy fuimos a pagar el gas. Este local estaba vaciado, no había nada. Mal que mal, lo pusimos a andar”.
Laura sostiene que ya no es un motivo económico lo que los impulsa a seguir. “Si fuera eso, no podríamos estar armando todo lo que estamos armando. Cuando es solamente la guita lo que se pretende, se busca otro laburo. Desde que estamos acá no sacamos un peso. Por suerte comemos, la yerba y el azúcar lo compramos entre todos. Todo se está colectivizando. Creo que eso es lo que pasó en este local, y espero que pase en todos. Es una cuestión de dignidad. Hemos trabajado días enteros, 16 horas todos los días, o sin franco, no me puedo ir agachando la cabeza diciendo ‘Sí señor, gracias por haberme maltratado’”.
Laura apunta que hay personas que, a pesar de reconocer el maltrato que sufren, lo toleran. Ella no puede. Dice que no le puede enseñar eso a su hijo.
Deudas, amigos y policías
El menú de Nac&Pop es verdaderamente nac & pop. Incluso los precios bajaron con la autogestión del local. Desde el clásico choripán hasta el especial Choripunk (viene con doble queso), pasando por los platos La Cumbiera, La Callejera y La Cheta, hasta llegar a El Indio o un Luca (una genial bondiola con morrón y muzzarella). El clásico es el lomito Coca Sarli.
Jairo cuenta que hace unas noches una 4×4 paró en la puerta del local. Un hombre abrió la guantera, sacó algo (“no llegué a ver qué”, dice) y se lo guardó en el cinturón, con el clásico gesto de alguien que se enfunda un arma. Según interpreta, no pasó nada porque había muchas personas a esa hora de la madrugada como parte de la guardia de la toma. Un detalle: no pueden cerrar el local porque no tienen rejas, ya que fueron pensados para que estén abiertos las 24 horas. Laura señala que su compañero ya había sufrido una amenaza en ese local. “A vos y a todos los giles que están rompiendo las pelotas les vamos a pegar un tiro”, les dijeron.
Los trabajadores señalan que algunos de los locales quedaron en manos de efectivos de la Policía Federal. Ornella Nociti, su abogada, lo confirma. Y señala tres sucursales: Santa Fe y Humboldt; avenida Córdoba y Salguero; Corrientes y Uriburu. La abogada también cuenta que se contactó con ella un acreedor de la cadena, de nombre Miguel Sbaglia, y le contó que le habían propuesta saldar la deuda entregándole sucursales. La persona que le ofreció realizar este negocio fue el abogado de Gordon, Osvaldo Bernardi. “Es el artífice del vaciamiento que está haciendo Gordon, y explota el local de Montevideo y Corrientes”, denuncia la abogada. Nociti también representó a los trabajadores de Alé Alé, otro restaurante recuperado, cuando tomaron el local.
Por su parte, Semin S.A, la sociedad que se hizo cargo de los locales a principio de año, está a punto de quebrar.
En camino
El local de Congreso tiene algunas frases en las paredes que decoran junto a las caricaturas. “No corras más. Tu tiempo es hoy”, dice una, citando al eterno Luis Alberto Spinetta en “Muchacha ojos de papel”. Otra: “El mundo será de los pueblos”. La autora: Evita. Las trabajadores y los trabajadores de Nac&Pop no quieren quedarse atrás: su deseo es conformar una cooperativa. La toma empezó hace poco, aún están brindando algunas batallas relativas al local, pero dicen que dentro de poco comenzarán a tramitar la matrícula. “La autogestión es el camino”, considera Laura. “Hay compañeros que se unen, no hay egos. Es todo mucha voluntad y mucho amor”.
¿De dónde sacás fuerzas?
-Yo creo que de acá -dice, y se toca la panza-.TopicΝαιΝαιNoΌχι -
Spanish19/10/14EN EL XI CONGRESO ARGENTINO DE ANTROPOLOGÍA SOCIAL
Estimados compañeros y compañeras:
Muy buenas tardes.
- En primer lugar, tenemos que decir que en aquellos años (1998 a 2001) decenas de miles de empresas presentaban concurso de acreedores o quiebras cotidianamente. Tanto, que hasta los programas de radio tenían un micro en el cuál (así como ahora se informa el estado de las rutas o las calles) se informaba cuántas empresas habían ido a quiebra o presentado concurso de acreedores en la semana... Esto implicaba decenas de miles de trabajadores en la calle y el aumento descomunal e inédito que tuvo la desocupación en aquél tiempo...
En ese marco, la lucha por los puestos de trabajo de los empleados de supermercado tigre es parte de las centenas de empresas que los trabajadores ocuparon y pusieron a producir como respuesta a la descomunal agresión de las patronales.
- La ocupación del supermercado tigre por sus empleados como medida de lucha por los puestos de trabajo surge como resultado de la orientación de un movimiento sindical que hoy es la Comisión Gremial.
- Al revés de la mayoría de los casos de ocupación obrera (salvo BAUEN, IMPA y algún otro) en La Toma se mantiene la situación de conflicto abierto como el primer día desde hace trece años (!!!)... Sigue siendo un conflicto laboral en curso, ya que sectores del poder judicial, respondiendo a los intereses de las patronales supermercadistas de Rosario que también son propietarios de las más grandes inmobiliarias y constructoras de edificios de la región, nos ha mantenido una guerra implacable y sin descanso desde el primer minuto de la ocupación.
- Mediante la solidaridad y la movilización popular hemos resistido y hasta logramos 2 leyes de expropiación votadas unánimemente en la Legislatura de Santa Fe (en 2004 y en 2008) pero que la justicia ha declarado inconstitucionales manteniendo la orden de desalojo vigente y abriendo procesos penales contra nosotros...
- Hace dos o tres años el conflicto de La Toma ha recrudecido de manera muy fuerte... Hemos comenzado a soportar un feroz hostigamiento y una ofensiva total para lograr nuestro encarcelamiento y el desalojo del lugar...
¿Por qué se produce esto?
A nuestro entender tiene que ver con dos cuestiones:
1- Por un lado, que nuevos y poderosos actores se sumaron a la campaña contra nuestra existencia, esto a raíz de nuestra participación y solidaridad activa en las luchas contra los abusos y atropellos de las patronales de la zona de Rosario... Los “dueños” de la ciudad, sus comerciantes estrellas han apretado fuertemente en la persecución y el intento de desalojo. Por ello en los últimos tiempos y en manera veloz la Justicia nos procesó en causas durísimas de forma arbitraria, nos rechazaron las apelaciones y la Cámara Penal nos condenó a ser juzgados por delitos que jamás cometimos, junto con esto, un anuncio de la Corte Suprema hace a un inminente desalojo contra La Toma que desde ya desconoceremos y rechazaremos...
Además del ataque empresario-judicial, muchos alcahuetes (que nunca faltan) desde sectores mediáticos, sociales y sindicales se han sumado entusiastamente a la tarea de atacarnos y buscar aislarnos para facilitar el desalojo.
(Por ello ayer en el Foro de Trabajadores hubo tantas protestas de parte de las conducciones sindicales cuestionando nuestra presencia en el XI CAAS, o tantos y tantos que antes se sacaban fotos con nosotros ahora ni nos saludan o cuando nos ven por la calle se ponen pálidos y hasta casi se orinan de miedo... El compañero Mario Hernández que también militó en la Dictadura sabrá que ese fenómeno de temor no es nuevo)
2- Creemos que además, existe una creciente corriente de opinión entre sectores empresariales, políticos, mediáticos y sociales que consideran que las empresas ocupadas son un “mal ejemplo” y que debe ser erradicado de raíz. Un ejemplo de ello es la política del grupo Clarín contra los trabajadores del BAUEN...
En este marco y en esta situación queremos desarrollar cuál ha sido nuestra forma de resistencia.
NUESTRA POLÍTICA:
1- Definimos que no somos una empresa recuperada, sino un establecimiento puesto en funcionamiento por sus propios trabajadores. No es una cuestión semántica, ya que de la conducta empresarial de obtención de lucro y multiplicación del capital a cualquier costo no queremos “recuperar” nada, queremos nuestro puesto de trabajo y ganar un ingreso por nuestra tarea.
2- Para contrarrestar la ofensiva empresarial y judicial el lugar debe estar al servicio de todos los sectores obreros y populares... Debe ser un establecimiento (como dice la propia ley) de “utilidad pública”... Esto lo entendemos de manera que el establecimiento debe ser “apropiado” por el conjunto de organizaciones populares de forma pluralista. Por ello en el lugar hoy funcionan y tienen su sede: (los leemos para no olvidarnos de nadie) -Subsecretaria de Economía Solidaria de Municipalidad de Rosario- ANSES (punto de contacto) -Mesa Coordinadora de Jubilados – Las Safinas – APDH – Familiares de Detenidos Desaparecidos – Cooperativa Sattva – Cooperativa Cajonardi – Cooperativa Engranajes – Fundación Si – Fundación MAS – CEFMA – Asociación Argentina de Actores – El Puente (psicólogos en La Toma) – Sindicato de Guardavidas – Galería de Arte LA TOMA /Escuela de Bellas Artes UNR – Comedor Universitario y Popular – Librería Obrera Federico Engels – Cooperativa de Victimas Violencia de Género – INGENAR – Organización “Sin Barreras” - Pañuelos en Rebeldía – Radio Popular Che Guevara – CEPETEL – Cursos de Formación Profesional UNR-Municipalidad de Rosario – Centro Cultural de La Toma – Cooperativa de Cartoneros...
Son éstas organizaciones quiénes hoy comparten el espacio con la cooperativa “Trabajadores Solidarios en Lucha” en poner en funcionamiento el establecimiento que popularmente se conoce como LA TOMA.
3- Promovemos la movilización permanente en defensa de los puestos de trabajo. Por ello impulsamos el desarrollo cultural y la reflexión de los trabajadores en lucha.
4- Unimos nuestro futuro a la lucha y organización de nuestra clase obrera. Somos parte de ella. Más allá de la actividad comercial y productiva que desarrollemos de la mejor manera posible, nuestra tarea es ayudar a organizar, dar espacio, apoyo o lo que sea, a nuestros hermanos de clase en lucha...
5- Junto a éstos postulados de política gremial apostamos a una autogestión lo más democrática y participativa posible. Desarrollamos un funcionamiento asambleario, con distribución igualitaria del fondo de lucha y promovemos la militancia a través del voluntariado.
6- Por ello nos enfocamos en dos frentes de trabajo y su forma organizativa correspondiente:
× El frente de política gremial que orienta nuestra lucha. En el cuál llevamos adelante todas las políticas que permiten nuestra resistencia contra la ofensiva judicial y patronal, así como nuestra vinculación con los demás sectores obreros y populares.
× El de gestión y administración. En el cuál se fijan las tareas, se administra el funcionamiento cotidiano de las secciones. En el cuál se tratan las tareas laborales diarias.
Es importante destacar que apostamos a la autogestión lo más democrática y participativa posible ya que no consideramos conveniente que la parte de orientación política se involucre e imponga su autoridad para el funcionamiento cotidiano. Aunque esto reste ejecutividad, reste eficiencia en las decisiones correctivas, nos permite mantener el estado de voluntad de resistencia colectiva los más integro ante las agresiones patronales y de manera separada del desgaste y el roce de la gestión cotidiana....
Por supuesto es una complicación mayor en la toma de decisiones pero para nosotros políticamente es más correcto: mantiene el tema de la lucha contra el ataque patronal y busca involucrarnos a todos los compañeros en la administración de la “cosa colectiva”... No es fácil, no es sencillo, pero así estamos resistiendo y a pesar de ataques, procesamientos, amenazas, censura mediática, boicots y vacíos organizados desde sectores que puedan sorprender (o no tanto) Estamos como la película “duros de matar”...
Un cosa más para finalizar. Agradecer al compañero Mario Hernández que hizo posible y batalló para que ahora estemos aquí presentes y hacemos notar que al recrudecer el conflicto en la nueva etapa que estamos transitando, cuando muchos intelectuales y académicos locales nos cortaron el rostro y se sumaron al boicot patronal (por miedo no más) fue el compañero Mario que nos acercó al CIET de la Universidad de Rosario y nos conectó con compañeros de distintas instituciones de Buenos Aires para que se solidaricen con nuestra causa.
Fraternales saludos proletarios a todas y todos.
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Spanish19/10/14Entrevista a Carlos Ghioldi en el 13º aniversario de La Toma (Rosario)
Mario Hernandez (MH): Te recibí escuchando el “Tema de Rosario”.
Carlos Ghioldi (CG): Alguna vez toqué con el “Topo” Carbone.
MH: Me acuerdo que conocí a alguno de estos personajes en tu casa.
CG: Sí, tocábamos cuando éramos jóvenes.
MH: Conocí a Carlos Ghioldi cuando tenía 15 años, hace un rato recordaba a los 8 militantes del Partido Socialista de los Trabajadores (PST) asesinados en La Plata por la Triple A un 5 de setiembre de 1975, y a vos te conocí 5 años después militando en esa organización y una noche me invitaste a tu casa y estaba alguno de estos músicos hoy famosos.
CG: Es posible, porque tocábamos música con Adrián Abonisio y el “Topo” Carbone y seguramente estaban dando vueltas por mi casa. Yo era más pibe que ellos, pero tocábamos juntos, compartíamos la música en la pieza de adelante, donde estaba el piano.
MH: Lo tengo muy presente a pesar que han pasado 34 años y recuerdo que nuestros militantes obreros habían caído presos y tuvimos que sacar a los universitarios de la provincia y quedaste prácticamente solo. Detrás de Carlos Ghioldi hay una trayectoria política y sindical de muchos años, se te conoce más por La Toma, pero tu militancia no comenzó allí, sino mucho antes.
Te llamaba para felicitarte y a los compañeros de La Toma que el próximo sábado cumplirán 13 años y tienen pensado hace un acto conmemorativo.
CG: Efectivamente, un acto popular reafirmando nuestra voluntad de lucha y resistencia porque no solo ocupamos el lugar donde funcionaba el Supermercado Tigre hace 13 años, sino que venimos enfrentando una persecución judicial y patronal despiadada. No somos los únicos, también está el caso de los trabajadores del Bauen a quienes mañana (10.9) se les vence el plazo judicial para intentar desalojarlos y el de IMPA, entre otros. Ya hace algunos años que hay una clara tendencia a tratar de borrar de la memoria esta experiencia de los trabajadores ocupando empresas y poniéndolas en funcionamiento. En ese marco está la situación particular de persecución contra nosotros y por eso nos parece que tenemos que hacer un gran acto de defensa de estos lugares, de conmemoración de esta lucha y saber prepararse para seguir adelante e incluso mantener viva en el movimiento obrero esta conquista que tenemos los trabajadores de ocupar las empresas.
MH: Hace un rato también hacía referencia a la situación de los trabajadores de Donnelley que mañana se movilizan a las 8:00 en Belgrano y Entre Ríos a las puertas del Instituto Nacional de Economía Social (INAES) para que les reconozcan la cooperativa que han organizado en reemplazo de la patronal que en algún momento la Presidenta de la Nación vinculó con los “fondos buitres” señalando que el cierre de la fábrica había sido una provocación que buscaba instalar zozobra en la sociedad. Los trabajadores han conformado la cooperativa Madygraf y mañana van a buscar su reconocimiento.
CG: Esta situación se inscribe dentro de lo que hemos charlado muchas veces. Nosotros opinamos que esta medida de los trabajadores ocupando lugares de producción y poniéndolos en funcionamiento sin patrón, es una conquista, una adquisición del movimiento obrero y como tal tenemos que defenderla.
Hay sectores del poder estatal, especialmente el judicial, el económico también, que en muchos casos no ha permitido que estas experiencias se desarrollen o lo ha permitido a regañadientes porque no acepta el cuestionamiento al principio de la propiedad privada. Toda nuestra solidaridad con los compañeros de Donnelley, del Bauen y también la pedimos para nosotros.
Es un proceso de lucha donde nuestro lugar no es solo un espacio para preservar nuestros puestos de trabajo, sino para la organización y la lucha al servicio de las organizaciones populares, un lugar para su encuentro y para que puedan funcionar, para de esa manera poder hacer una resistencia mucho más firme y sólida ante los embates desde los sectores del poder.
MH: También hacía referencia a la situación de Textil San Justo porque la Legislatura santafesina votó la expropiación a favor de los trabajadores y la del restaurant Alé-Alé que finalmente ha logrado instalarse el pasado 1º de setiembre en su nuevo local de Cabrera 3270.
CG: Son claroscuros. Lo mismo sucede en Rosario. Muchas se han instalado e inclusive el Poder judicial ha favorecido su funcionamiento, pero en general vemos una tendencia de sectores de ese mismo Poder judicial que han actuado en contra. Han planteado la inconstitucionalidad de las leyes de expropiación, en nuestro caso, con un desalojo abierto a lo largo de 13 años.
La única forma de resistir a eso y mantener vivas estas experiencias radica en el grado de solidaridad que se logre generar en torno a estas unidades productivas, más allá que conquistemos espacios que por un tiempo queden institucionalizados y logren dar un avance definitivo.
La condena a los petroleros de Las Heras es contra el conjunto de los trabajadores
MH: En ese marco tengo entendido que hoy desarrollaron en La Toma una reunión para planificar un acto por la absolución de los trabajadores petroleros condenados en Las Heras.
CG: Así es, estuvo reunida la Comisión por la absolución de los petroleros y habrá un acto el próximo 4 de octubre en La Toma. Aunque somos sectores que opinamos distinto y, a veces, dificulta algunos acuerdos, nosotros no podemos dejar de estar presentes en esta causa que es contra el conjunto de los trabajadores independientemente de su pensamiento político.
Tenemos que estar en primera fila impulsando la solidaridad por la absolución de estos compañeros, opinen como opinen, ese es otro debate, pero nunca hay que anteponer cualquier otra circunstancia o interés partidista o electoral, por sobre la necesaria unidad en torno a la absolución de estos compañeros, vengan de donde provengan hay que recabar el apoyo y el acompañamiento por un gran punto que nos unifique a todos y que es la absolución y la anulación del proceso judicial. No hay excusas. Tenemos que armar un gran movimiento que fortalezca esta causa, que no es la única, nosotros también estamos amenazados.
Judicializar las protestas sociales es una herramienta que las grandes patronales han logrado llevar al Código Penal, y es una herramienta que tenemos que tumbar, luchar contra ella más allá del gobierno que esté, del nucleamiento sindical al que se pertenezca, ideología o aspiración electoral que uno tenga.
MH: A la mañana me llegó la información del despido del Secretario General del gremio de trabajadores portuarios de Rosario, Raúl Mamani, quien además es Secretario Administrativo de la CTA (Rosario). ¿Qué información manejás sobre el tema?
Hay que acabar con la dictadura patronal en los lugares de trabajo
CG: Muchas veces hemos compartido plenarios de la CTA-Micheli y han tenido una lucha muy dura contra esa Unidad portuaria que está privatizada y anteriormente pertenecía a la Junta Nacional de Granos. Un grupo de compañeros continuó peleando y generó esta organización sindical adscripta a la CTA-Micheli a la cual la patronal ha dado un zarpazo, un golpe durísimo con el despido sin causa contra una persona de 63 años a la que le ofrecen la indemnización.
Así está planteado el conflicto, pero el punto está más bien en intentar descabezar cualquier intento de organización de los trabajadores, más allá de las ideas que uno tenga sobre cuál es el mejor camino para la organización. Lo que no se puede permitir, del mismo modo que lo decía respecto de la aplicación del Código Penal a los luchadores, tampoco tolerar ni un minuto, es la imposición de condiciones antidemocráticas y de persecución feroz a cualquier trabajador que decide organizarse o participar sindicalmente, sea del color o nucleamiento que sea se plantea la misma cuestión.
Es una defensa incondicional la que hay que hacer sobre este caso donde el compañero reclama la reincorporación. Estamos a favor de luchar con él, acompañarlo y alertamos que es muy importante la lucha contra la dictadura totalitaria de las patronales en los lugares de trabajo.
Cuando se habla de democracia sindical, se suele hablar solo al interior de las organizaciones sindicales y nosotros pensamos que no hay democracia sindical con la dictadura patronal feroz en cada lugar de trabajo que persigue al compañero que se sindicaliza, que cuestiona o que simplemente intenta averiguar cuál sería el sueldo que le corresponde. Ese es un cercenamiento de las libertades democráticas que ocurre cotidianamente en cada lugar de trabajo y es el primer paso que hay que dar para conquistar la democracia sindical.
MH: También hoy he leído novedades sobre el crimen de “Pocho” Lepratti en diciembre de 2001. La Corte Suprema de Santa Fe dispuso anular el fallo de la Cámara Penal que había beneficiado a los 4 policías sentenciados en primera instancia por el encubrimiento del homicidio de Lepratti.
CG: No sigo particularmente este caso pero sí hay una cuestión que quiero aclarar sobre la represión del 2001.
Es muy importante que vayan presos los autores materiales, que se pelee para que los responsables políticos también paguen sus culpas porque no se los ha tocado, pero también hay que decir que hubo empresarios que compraban las balas, que compraron armas como la cadena de Supermercados Rosarina que compró 5000 cartuchos para la policía y eso salió publicado en los diarios. Hay otra empresa que compró especialmente elementos de represión y los puso a disposición de las fuerzas policiales, es decir, mientras no se toque a los ideólogos y beneficiarios de esa represión, estamos siempre con el mismo problema.
En estos días se está discutiendo la responsabilidad de Acindar en la represión del Villazo (1975), lo cual es muy importante porque no hubo represión a los obreros de Villa Constitución por el enloquecimiento de un puñado de funcionarios policiales, ni tampoco por la política represiva de un puñado de funcionarios políticos, sino porque hubo empresarios que decidieron, impulsaron y gestaron el marco represivo. El árbol no nos debe tapar el bosque.
MH: Estás hablando nada más ni nada menos que de José Alfredo Martínez de Hoz, que era el presidente de la empresa.
CG: Y del Directorio de Acindar que instaló un campo de concentración dentro de la fábrica. No fue el único caso, tenemos el de Mercedes Benz que hizo desaparecer la Comisión Interna, del Ingenio Ledesma donde permanecen desaparecidos 32 compañeros y un largo etcétera, es decir, hay una parte importante de responsabilidad empresaria en la represión de la década de los ’70 y durante la dictadura cívico-militar que tiene que ser investigada porque también hoy aparece con otras formas, suave, democratizada, al calor de los tiempos, hasta donde le da el cuero, pero es el mismo principio represivo de despedir al trabajador portuario que quiere organizarse y de comprar las balas para reprimir a las masas hambrientas en un momento de bronca y hambre muy generalizados como fue el 2001.
Nos parece que hay que empezar a discutir estas cosas más allá del posicionamiento sindical o la idea que se tenga para las futuras elecciones, porque vamos a tener que pelear hoy y por muchos años y estos métodos van a aplicarse como puedan y si no tenemos claridad de golpear donde corresponde pueden desarrollarse y avanzar. Hay que tener una fuerte claridad y unirnos para tumbar estos métodos.
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Spanish19/10/14
Esto decía Laura Ruffolo, una de las trabajadoras de la cadena de hamburguesas “Nac & Pop”, la empresa nacional y popular propiedad de Alex Gordon, que dejó a sus trabajadores desocupados y con sueldos atrasados, por lo cual 3 de sus locales han sido ocupados por sus trabajadores, a pesar de los intentos policiales de desalojarlos y de las amenazas de Metrogas de retirarles los medidores.
Son alrededor de 18 locales y unos 10 empleados por local. Serían 170 trabajadores/as en total, de los cuales 30 han tomado la decisión de ocupar 3.
Siguiendo el ejemplo de MadyGraf (ex Donnelley)
El martes pasado los trabajadores de Donnelley marcharon junto a organizaciones sindicales y políticas al Juzgado Comercial 19. Consiguieron el pago de parte de sus salarios, unos $ 4.000 por cada uno de sus 400 trabajadores, exigieron al juez que les dé la locación de la Cooperativa MadyGraf y anunciaron que seguirán movilizados por el pago total de los trabajos que vienen realizando.
Desde que la multinacional norteamericana cerró ilegalmente siguieron produciendo bajo control obrero, pero no cobraron un peso porque los síndicos y el juez retienen los cheques de los trabajos y no autorizan el cobro de más de $ 5.000.000. Tampoco liberan los fondos millonarios de Donnelley que a la fecha del pedido de quiebra tenía $ 22.000.000 en cuentas bancarias y U$S 300.000 en el Banco Citi de EE. UU.
La Presidenta de la Nación denunció la quiebra como parte de la maniobra de los fondos buitres contra nuestro país y el Ministerio de Trabajo de la provincia de Buenos Aires dijo que iba a garantizar los puestos de trabajo, sin embargo, poco se ha avanzado en una solución definitiva. La semana pasada, después de movilizarse al Ministerio de Trabajo, lograron el compromiso que a partir del 14 de octubre les paguen el subsidio Repro, que en su momento otorgaron en tiempo récord a la patronal de Donnelley.
Hernando Charles Mengeon, de la Comisión de Prensa y Difusión, señaló que: “Mientras peleamos para poder cobrar nuestros trabajos, los trabajadores planteamos que la salida de fondo para mantener los puestos de trabajo es la expropiación sin pago de la fábrica y su estatización bajo gestión de los trabajadores para ponerla al servicio de la comunidad, imprimiendo materiales escolares accesibles a todos los sectores, especialmente a los más humildes, que hoy no tienen acceso a la cultura, para que a ningún chico le falte un libro.”
La única lucha que se pierde, es la que se abandona
Luego de dos años de lucha y de cuatro desalojos, el pasado 1º de setiembre los empleados del restaurante Alé Alé inauguraron un nuevo local en Cabrera 4270.
El 2 de diciembre del 2013 los trabajadores se encontraron frente al cuarto intento de desalojo del local en el que funcionaba la empresa Alé Alé SRL, la empleadora que abandonó el comercio y había comenzado un proceso de vaciamiento en el 2012.
El presidente de la Cooperativa, Andrés Toledo expresó: “Alé Alé es un claro ejemplo de que los trabajadores organizados podemos salir adelante y que sí se puede”.
Zanón sigue resistiendo
Las obreras y obreros de Zanon se movilizaron este miércoles, para reclamar el otorgamiento urgente de un crédito destinado a la renovación tecnológica de la fábrica. Ocurre que la maquinaria es obsoleta y presenta enormes dificultades para seguir produciendo.
Los trabajadores de Zanon, durante más de una década, se han montado en sus hombros lo que la patronal vaciadora y el gobierno han rechazado hacer: mantener abierta la fábrica y garantizar 400 puestos de trabajo.
Mientras el gobierno nacional y el MPN neuquino pretenden, con la nueva Ley de Hidrocarburos, concederle a los monopolios petroleros exenciones impositivas y facilidades para fugar capitales al exterior, las dilaciones para el otorgamiento del crédito a la cooperativa llevan más de un año y medio.
Ni el boom de la especulación inmobiliaria, como consecuencia del efecto Vaca Muerta, ha alentado al gobierno a dar un impulso a las fábricas recuperadas, muy por el contrario son sometidas a un agudo ahogo financiero.
Esta situación condena a los trabajadores a recibir un salario por debajo del que establece la paritaria de la rama, y a que se pongan en riesgo conquistas como el aguinaldo o el propio pago de las contribuciones patronales.
Esto, mientras se pretende que los trabajadores carguen con el peso de pagar una indemnización a la patronal vaciadora, según establece la ley de expropiación.
Es en este escenario que, el planteo de la estatización bajo control obrero de todas las fábricas ceramistas de Neuquén, se ha puesto a la orden del día.
El Estado es el responsable de garantizar la renovación tecnológica, todas las conquistas del convenio para los trabajadores y colocar a las fábricas ceramistas como las proveedoras privilegiadas de la obra pública provincial.
La movilización de los ceramistas por el crédito y la renovación tecnológica, se realizó cuando se cumplen 13 años de la ocupación y puesta en producción de Zanon.
La gesta de los ceramistas ha quedado inscripta en la historia de la lucha de los trabajadores y el pueblo neuquino. Ahora, una vez más, esta lucha reclama ser rodeada de toda la solidaridad.
También resiste el Bauen
El miércoles 10 de setiembre vencía el plazo impuesto por el Juzgado Comercial Nº 9 a cargo de la Jueza Dra. Paula Hualde para que los trabajadores de la Cooperativa B.A.U.E.N desalojaran las instalaciones donde trabajan desde hace 11 años.
Frente a esta nueva orden de desalojo los trabajadores respondieron continuando con sus actividades y desde la mañana contaron con el apoyo de organizaciones sociales, diputados nacionales y legisladores porteños.
Federico Tonarelli, vicepresidente del hotel recuperado se mostró confiado en lograr una “salida política” al conflicto legal que data desde 2007: “Creemos que avanzará el proyecto de Ley de expropiación que se encuentra en el Congreso de la Nación”.
La orden dictada por la Jueza pone en peligro el trabajo de más de 130 familias que mantienen en funcionamiento el hotel en forma ininterrumpida desde el 2003.
El BAUEN fue construido entre 1977/8 con dinero público otorgado por la dictadura cívico-militar a los empresarios que lo edificaron. Ese dinero nunca fue devuelto al Estado y en 2001, los mismos empresarios que recibieron esos fondos, provocaron el cierre del hotel. Se trata de la empresa Mercoteles S. A. y que en la actualidad son los mismos que reclaman el desalojo.
El 3 y 4 de octubre próximos estas experiencias autogestivas se darán cita en la localidad de Pigüé en la provincia de Buenos Aires. Allí se realizará el Primer Encuentro Regional Sudamericano. Será la sede del evento una fábrica que fue recuperada y puesta en funcionamiento como cooperativa de trabajo por los antiguos trabajadores de la empresa Gatic: la Cooperativa Textiles Pigüé.
Αργεντινή, MARIO HERNANDEZ, Εργατική Αυτοδιαχείριση, 21ος αιώνας – Εργατικός Έλεγχος στη Σύγχρονη ΕποχήTopicΝαιΝαιCurrent DebateΌχι -
Spanish19/10/14“Dos veces tuvimos que ocupar la empresa porque se querían llevar todo”
Cooperativa Soho: “Dos veces tuvimos que ocupar la empresa porque se querían llevar todo”
Este lunes, luego de recuperar la empresa que ahora se encuentra en manos de sus trabajadores/as, se inauguró en el barrio porteño de Villa Urquiza (Díaz Colodrero 3562) el primer local de la Cooperativa de Trabajo SOHO Ltda. Por RNMA.
(RNMA) Ciudad de Buenos Aires - Después de una lucha de cuatro años, la quiebra decretada en abril de este año y una gran cantidad de denuncias contra su ex dueño, Nelson Sánchez Anterino por contrabando de autos, vínculos con el narco-prostíbulo, estafas, evasión de impuestos, y lavado de dinero, los trabajadores lograron evitar el vaciamiento de la empresa y darle continuidad a sus puestos laborales. Durante el programa de la RNMA, Enredando las Mañanas, nos comunicamos con Ezequiel integrante de la Cooperativa Soho, para conocer los detalles del nuevo emprendimiento de los trabajadores/as.
Ezequiel: Después de la quiebra del 24 de abril y una larga lucha de 4 años, con mucha alegría y en poco tiempo, pudimos inaugurar el primer local con producción propia, porque acá no se hacía, sino que se mandaba todo a talleres clandestinos. Por eso lo primero que hicimos fue armar el taller, capacitarnos y rápidamente poder tener una producción propia y abrir el local.
ELM: Y tener una producción propia ¿les permite tener más trabajadores?
Ezequiel: Como esto recién empieza lo que primero que hicimos fue, los que nos quedamos, capacitarnos todos para el taller de costura que para nosotros es el corazón de la cadena de producción; después fuimos ocupando los otros espacios de la cadena dentro de la empresa. Obviamente nosotros empezamos sin capital inicial de ningún tipo, así que todo se está haciendo con muchísimo esfuerzo. De lo que estamos convencidos es que en cuanto se empiece a mover la cadena podemos generar nuevos puestos de trabajo. Esa es la intención del por qué hacer todo adentro, para ser generadores de nuevos puestos de trabajo dignos.
ELM: Por lo que vimos, los precios de la empresa anterior eran muy caros y los de ustedes mucho más accesibles.
Ezequiel: Aparte de todo lo que venimos discutiendo en este nuevo mundo donde nos encontramos, tenemos que ver la producción desde un punto de vista más global, analizarbien los costos. Porque no solo venimos denunciando el trabajo esclavo por las reivindicaciones de los derechos de los trabajadores, sino porque hay una estafa muy grande en la industria textil por parte de las marcas hacia los consumidores. Hoy podemos manejar que, por ejemplo, un jean en blanco, bien pagado, te sale alrededor de 200 pesos, en cualquier local o en la calle y eso también es una estafa. Tiene que ser una cosa mancomunada entre trabajo digno y no estafar a los consumidores que vienen a comprar y que también son trabajadores.
ELM: Eso es lo que siempre pensamos cuando se recupera una fábrica, cómo cambian los precios y uno dice ¿Cómo nos estuvieron estafando tanto tiempo?, y a la vez que la gente entienda que van a tener otro tipo de producción. ¿Contanos cómo estuvo la inauguración ayer?
Ezequiel: La verdad muy contentos, los compañeros muy esperanzados de poder abrir nuestro primer local; era la pata que nos faltaba en esta incipiente cadena, la que nos restaba era la comercialización. Muchos vecinos que se acercaron que nos vienen ayudando en estos 4 años que la venimos peleando, ellos sentían mucho orgullo porque vieron nacer el conflicto y como se fue desarrollando y como lo fuimos pasando; dos veces tuvimos que ocupar la empresa porque se querían llevar todo, durmiendo en la calle, adentro de la fábrica 15 días. Entonces lo vivimos muy emocionados, con muchos compañeros de otras cooperativas, de organizaciones sociales...fue una noche muy linda, donde se cruzaron muchas emociones y simbólicamente abrir el local donde lo hicimos para nosotros es muy importante, porque era el garage donde la patronal guardaba sus autos privados y también los de alta gama, los que denunciamos que traían de contrabando con la franquicia diplomática a nombre de la empresa. Entonces que esto se transforme en el primer local a la calle de la cooperativa, es muy fuerte.
También estamos en el mercado solidario de Bompland 1660, ahí los compañeros de La Alameda nos cedieron un lugar para poder llevar nuestras prendas y poder comercializarlas.TopicΝαιΝαιNoΌχι -
French13/10/14
Nous poursuivons dans cet article notre fiche de lecture du rapport sur les SCOP de la région Rhône-Alpes publié en 2013 par une équipe d’universitaires de Grenoble et Lyon (H.Charmettant, J.-Y.Juban, N.Magne, Y.Renou, G.Vallet). Dans ce second volet, nous résumons très rapidement les chapitre V et suivants qui traitent notamment de la diversité des 40 SCOP ayant répondu à l’enquête.
Diversité des SCOP (origines, personnel,rémunération,sociétariat)
Les SCOP étudiées se différencient tout d’abord par leur statuts juridiques, SA ou SARL, ainsi que sur leurs deux variantes possibles : SCIC (Société coopérative d’intérêt collectif), CAE (coopérative d’activité et d’emploi).
Elles peuvent avoir des histoires variées : reprise d’entreprise existante, transformation d’une association ou d’une entreprise en SCOP, création (45%), « essaimage » forcé ou choisi (un groupe d’employés quitte une même entreprise et crée la SCOP).
Le personnel a un âge moyen similaire à la moyenne des salariés français (39 ans), et comprend une proportion de femmes proches de la moyenne nationale (44%). Mais les qualifications représentées diffèrent des proportions des entreprises prises dans leur ensemble : les cadres sont sur-représentés, ce qui semble découler de la forte présence des entreprises de services dans le groupe de 40 SCOP.
L’écart des rémunérations est caractérisé par le ratio du salaire le plus élevé sur le salaire le moins élevé. Ce ratio se situe entre 1.3 et 3.4, avec une moyenne proche de 2. Ce ratio est plus faible dans les petites SCOP, et dans les SCOP les plus jeunes. Il est plus élevé dans les SCOP plus anciennes, et dans celles du secteur industriel.
Le taux de sociétariat est élevé dans cet échantillon: 79% contre une estimation à 60% en moyenne pour les SCOP françaises. Les SCOP de l’industrie et les SCOP plus anciennes ont un taux de sociétariat plus faible, à l’inverse des SCOP plus jeunes ou du secteur des services.
La répartition des bénéfices (rémunération du capital, à distinguer des salaires) semble relativement homogène pour l’ensemble des SCOP étudiées, avec des fluctuations: en gros 45% pour les réserves, 37% pour les salariés, et 16% de dividendes.
Diversité des réponses aux questionnaires
Les données factuelles ci-dessus sont obtenues suite à un entretien avec un dirigeant, ou via des sources indépendantes. Les enquêteurs ont également fait remplir un questionnaire aux salariés et sociétaires.
Les questions portent sur l’information et la participation aux décisions, le sentiment des salariés sur leur travail, le sentiment des salariés sur le statut coopératif et les relations sociales.
Les enquêteurs recherchent une relation de cause à effet:
- les caractéristiques ci-dessus, mesurées par le questionnaire, sont considérées comme des effets.
- les causes sont des caractéristiques des individus (ancienneté, poste, diplôme, sociétaire, sexe) ou des SCOP elles-mêmes (secteur d’activité, taille,ancienneté de la SCOP, taux de sociétariat, origine)
(pour mettre au jour cette relation, les auteurs s’appuient sur une méthode classique en sciences sociales, qui repose entre autre sur la régression, c’est-à-dire la recherche de la fonction y=f(x), où est l’ensemble des effets, et x l’ensemble des causes).
Ils dressent alors un constat intéressant: un petit groupe de variables telles que le fait pour un individu d’être sociétaire, le taux de sociétariat au niveau de l’entreprise et la taille de la SCOP, ont des effets importants à de nombreux niveaux. Plus précisément, les enquêteurs montrent que:
- le fait d’être sociétaire à titre individuel augmente la probabilité d’être bien informé.
- un sociétariat élevé influe positivement sur la probabilité d’être mieux informé, mais pas nécessairement sur celle d’être associé aux décisions.
- plus la SCOP est grande, moins les salariés et sociétaires semblent satisfaits notamment sur l’information et l’association aux décisions, sauf pour ce qui concerne la rémunération et les possibilités de promotion.
Dans la dernière partie du rapport, les enquêteurs empruntent des outils théoriques pour construire un cadre d’analyse des SCOP, en mobilisant entre autres le concept de « biens communs ». L’entreprise est vue comme un « projet porté par un collectif », analysable selon trois dimensions : le statut citoyen (vigueur de la vie démocratique), activité créatrice (autonomie dans le travail) et rapport salarial(subordination, droit du travail).
Une des originalités des SCOP serait qu’elles constituent un « projet mixte », à la fois « projet économique » (création de valeurs économiques), et « projet socio-politique » (création de valeurs utiles socialement).Charmettant, Juban, Magne, Renou, Vallet,
La qualité des relations sociales au sein des SCOP
décembre 2013
http://hal.archives-ouvertes.fr/docs/00/94/26/39/PDF/pub13055.pdfAssociation Autogestion
13 octobre 2014
http://www.autogestion.asso.fr/?p=4580Aurélien Singer, Συνεταιριστικό Κίνημα, 21ος αιώνας – Εργατικός Έλεγχος στη Σύγχρονη Εποχή, Γαλλία, ΕυρώπηTopicΝαιΝαιNoΌχι -
German08/10/14Rezension von Anna Leder
Jugoremedija, eine Arzneimittelfabrik in Zrenjanin/Serbien: besetzt 2003, in Selbstverwaltung betrieben bis 2013. Bike Systems GmbH bzw. Strike Bike in Nordhausen/Thüringen: besetzt 2007, selbstverwaltet bis 2010. Die Baustofffabrik Vio.me in Thessaloniki: besetzt 2012, selbstverwaltet seit 2013. Fralib, das südöstlich von Marseille gelegene Teebeutelwerk: besetzt seit 2010, die Selbstverwaltung ist im Anlaufen. Trotz fast sechsjähriger Krise ist die Liste besetzter und in Selbstverwaltung überführter Firmen in Europa überschaubar und die Vernetzung untereinander prekär. Ganz anders in Argentinien, wo 2001 als eine Antwort auf die Krise eine Welle von militanten Auseinandersetzungen rund um Betriebsbesetzungen und Übernahmen in Selbstverwaltung begann. Die meisten existieren bis heute, und immer wieder werden weitere Betriebe übernommen. Juan Pablo Hudson besuchte jahrelang einige dieser Fabriken als Unterstützer und Forscher. Er arbeitet als Sozialwissenschaftler am CONICET, dem staatlichen Institut für Wissenschaftsförderung in Argentinien. Nun ist sein Buch über die Erfahrungen der argentinischen Selbstverwaltung unter dem Titel »Wir übernehmen« auf Deutsch erschienen.
....
Die ganze Rezension als PDF:
Aus: Analyse und Kritik Nr. 597 vom 16. September 2014
Κριτικές Βιβλίων, Anna Leder, Αργεντινή, Καταλήψεις Χώρων Εργασίας, Εργατικός Έλεγχος, 21ος αιώνας – Εργατικός Έλεγχος στη Σύγχρονη Εποχή, Λατινική ΑμερικήMediaΝαιΝαιNoΌχι -
Ελληνικά06/10/14
Αυτή η ιστοσελίδα επιδιώκει να αποτελέσει μία ανοιχτή ψηφιακή βιβλιοθήκη που θα συλλέξει και θα προσφέρει πρόσβαση σε υλικό και θεωρητικά κείμενα σχετικά με τις ιστορικές και σύγχρονες εμπειρίες εργατικού ελέγχου. Το γεγονός ότι οι εργαζόμενοι, σε διαφορετικές ιστορικές στιγμές και σε διαφορετικά μέρη του κόσμου, ανέλαβαν, πολλές φορές αυθόρμητα, τον έλεγχο του χώρου εργασίας τους και ξεκίνησαν την παραγωγή, έχει πολιτική και θεωρητική σημασία που υπερβαίνει τον συγκεκριμένο εργασιακό χώρο και την οργάνωση της παραγωγής, διαμορφώνοντας ένα εναλλακτικό τρόπο κοινωνικής διακυβέρνησης. Αναλαμβάνοντας με αυτενέργεια τον έλεγχο της εργασίας τους και αμφισβητώντας το “αυτονόητο” της ατομικής ιδιοκτησίας, οι εργαζόμενοι, έστω και προσωρινά, αντιστρέφουν ολόκληρη τη δομή των καπιταλιστικών σχέσεων παραγωγής, ανοίγοντας το πεδίο για τον επαναπροσδιορισμό της παραγωγικής διαδικασίας υπό τον έλεγχο τους.
Είναι αυτά τα εγγενή απελευθερωτικά χαρακτηριστικά που καθιστούν τη καταγραφή και διάδοση της γνώσης σχετικά με τις εμπειρίες εργατικού ελέγχου ιδιαίτερα σημαντική, τόσο από πολιτική όσο και από θεωρητική σκοπιά. Προωθώντας την συγκέντρωση αυτού του υλικού και την ελεύθερη πρόσβαση του σε αυτό, η παρούσα ιστοσελίδα επιδιώκεί να συνεισφέρει στην καθιέρωση του εργατικού ελέγχου ως κεντρική πρακτική για τους πολιτικούς και συνδικαλιστικούς αγώνες και να προσφέρει μια αντι-ηγεμονική προοπτική σε μία κοινωνία στην οποία η άποψη ότι “δεν υπάρχει εναλλακτική” είναι κυρίαρχη.
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